L’Angiolina di Rossini

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Al Teatro Massimo Bellini di Catania è in scena La Cenerentola: tra risa ed equivoci, un lieto fine di buon auspicio per la nuova stagione operistica

Il sipario si apre in un’antica sala del palazzo di Don Magnifico, barone di Montefiascone.

«Una volta c’era un re, che a star solo s’annoiò; cerca, cerca, ritrovò! Ma il volean sposar in tre. Cosa fa? Sprezza il fasto e la beltà, e alla fin scelse per sé l’innocenza e la bontà. La la là li li lì la la là»

Con questo canto ha avuto inizio il primo atto dell’opera lirica La Cenerentola, in scena al Teatro Massimo Bellini di Catania, fino a mercoledì 18 dicembre.
A distanza di 13 anni dall’ultimo allestimento, la regia di questa produzione è stata curata da Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi. Orchestra e Coro (tutto al maschile) del Teatro Massimo Bellini con il direttore José Miguel Pérez-Sierra e il maestro Luigi Petrozziello. I costumi sono stati realizzati da Giovanna Giorgianni.

Si tratta di un melodramma giocoso in due atti di Gioachino Rossini su libretto di Jacopo Ferretti. Rappresentato per la prima volta al Teatro Valle di Roma nel 1817, il titolo originale completo è La Cenerentola, ossia La bontà in trionfo.

Pur traendo il soggetto dalla celebre fiaba di Perrault, Ferretti e Rossini avevano eliminato ogni  riferimento magico. Non vi è spazio per gli incantesimi, i topini, la scarpetta di cristallo o la fata madrina. Piuttosto l’intenzione fu quella di renderla un’opera buffa che generasse il riso. Si volle attualizzarla, enfatizzando i tratti contemporanei di una borghesia ignorante e al contempo l’importanza dei valori del perdono e della virtù.

Angiolina (detta Cenerentola), è una fanciulla dal cuore puro e sincero che conduce un’esistenza caratterizzata da angherie e soprusi. Orfana di madre, depredata del suo denaro, vive la sua quotidianità subendo «sempre nuove pazzie». Viene infatti maltrattata e costretta ai lavori più umili dal patrigno Don Magnifico e dalle due sorellastre, Clorinda e Tisbe.

Queste sono tanto vanitose quanto arcigne ed insolenti. Desiderano, sopra ogni altra cosa, farsi notare alla festa che si terrà a Corte, durante la quale il principe sceglierà la sua sposa tra le invitate.

Ma il principe Don Ramiro non sopporta tale imposizione. Egli desidera innamorarsi di una fanciulla onesta, che ricambi il suo amore incondizionatamente, e non per brama di ricchezza o di potere.
«Sposarsi, e non amar! Legge tiranna, che nel fior dei miei giorni alla difficil scelta mi condanna».

Per questa ragione decide di rimanere in incognito in modo da osservare le reali intenzioni delle pretendenti al trono. Così arriva in casa di Don Magnifico sotto mentite spoglie, travestito da scudiero. E non appena incontra Cenerentola, fra i due scoppia «Un soave non so che». Viene conquistato dalla semplicità della ragazza, che «con un bel volto e gentil» sembra emanare innocenza e candore.

«Grazie, vezzi, beltà scontrar potrai ad ogni passo; ma bontà, innocenza, se non si cerca, non si trova mai. Gran ruota è il mondo…»

Cenerentola non ha il permesso di andare alla festa a palazzo, neanche per un’ora soltanto. Ma nulla accade per caso, e a vegliare sulla sua sorte è il filosofo Alidoro, che veste i panni della fata madrina di Perrault.
Egli dona un abito alla fanciulla che, velata in volto, assume un aspetto radioso. Poi la fa salire su una carrozza e la conduce al ballo. Alla vista della giovane donna, i personaggi rimangono quasi imbambolati dallo stupore della sua bellezza.

Perché in fondo «l’allegrezza e la pena son commedia e tragedia, e il mondo è scena. Il mondo è un gran teatro, siam tutti commedianti, si può fra brevi istanti carattere cangiar».

Infine, l’epilogo felice in cui Angelina, divenuta principessa, dimostra di essere l’emblema della virtù e della rettitudine. La sua innata bontà la spinge a intraprendere la via del perdono.

«Le antiche ingiurie mi svanir dalla mente. Sul trono io salgo, e voglio starvi maggior del trono. E sarà mia vendetta il lor perdono».

Da evidenziare il coinvolgimento degli spettatori attraverso la rottura della quarta parete e altri espedienti. Una scena particolarmente avvincente è quella del temporale. Mentre i lampi squarciano il cielo, si sente una carrozza rovesciarsi e delle comparse vestite di nero cominciano ad agitare dei teli in modo sempre più vorticoso, simulando l’irrompere della bufera.

 

A fare da scenografia è la città di Catania, attraverso le videoproiezioni realizzate da Patrick Gallenti. Sullo sfondo della scena vengono infatti proiettate le immagini dei luoghi più belli del capoluogo etneo: la Cattedrale, la fontana dell’Amenano (detta “acqua a linzolu”), i salotti del Palazzo Biscari, Porta Uzeda, nonché la nota pescheria (in cui le due sorellastre faranno una simpatica irruzione in abiti ottocenteschi).

 

«I luoghi simbolo della città, cari ai catanesi, la bellezza dei suoi monumenti, i suoi colori lavici e marini faranno da sfondo all’intera vicenda». Queste le parole dei registi, i quali hanno puntualizzato che La Cenerentola costituisce un omaggio a Catania e in particolare al Teatro Bellini.

A poco a poco la musica allegra di Rossini con i suoi crescendo sembra avanzare nel petto e nel cuore di chi si apre ad accoglierla. In quell’incanto di luci e suoni che non è semplice raccontare a parole, ci si sente quasi sollevati, dimentichi delle noie e delle tribolazioni della vita. E mentre si assiste all’incalzare del ritmo, in un vortice intenso di violini e fiati, si viene come trascinati in un tempo passato che lascia sulle labbra il sapore dell’immortale.

«Non si terminerà il carnevale senza che tutti se ne innamorino, non passerà un anno che sarà cantata dal Lilibeo alla Dora e fra due anni piacerà in Francia e farà meravigliar l’Inghilterra. Se la disputeranno gl’impresari e più ancora le prime donne.» (Rossini)

 

Tutte le foto sono a cura di Giacomo Orlando

Michela Guidotto

Eternamente in conflitto con l’altra me, vivo sospesa fra la bussola della ragione e le leggi del cuore. L’ardore che provo per Themis mi ha spinta a coltivare gli studi giuridici. Ma, innamorata dell’archeologia e del mondo teatrale, scrivo nottetempo per dar voce alle diverse sfumature della mia identità, in modo da cambiare volto e rimanere me stessa.