Cu mancia fa muddichi

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“Chi mangia fa molliche” un proverbio, uno spunto di riflessione

Quattro anni fa andai in gita in Sicilia e lessi questo detto siciliano scritto su una lavagnetta in un ristorante. Prima di mangiare pane cunzato chiesi al cameriere cosa significasse “muddichi”. Lui, molto gentile, mi tradusse tutta la frase e me ne spiegò il senso. Letteralmente: “Chi mangia fa briciole”. Può avere doppia valenza perché, secondo il contesto, si presta a due interpretazioni. La prima riguarda avere successo in un’impresa difficile anche con qualche intoppo che gli invidiosi evidenziano per svalutare il risultato ottenuto. In questo caso: “meglio che io mangiando faccia molliche anziché restare a digiuno”, quindi meglio sbagliare ma farcela piuttosto che non fare nulla. Il secondo significato si riferisce a quando cerchiamo di fare qualcosa di nascosto ma alla fine rimane sempre qualche impronta quindi tutto viene a galla.

Un proverbio che può sembrare facile e leggero ma da allora ci penso spesso. Ho aggiunto una mia personale interpretazione. “Cu mancia fa muddichi” per me significa il fatto che mangiare quindi esistere lasci il segno, lasci le tracce. Allora mi chiedo : quali sono le tracce che lascio? Quali i segni che rimangono? Oltre alle briciole a tavola esistono anche le briciole di noi che trasmettiamo agli altri in maniera più o meno diretta e fugace. Quante sono le persone a cui quelle briciole di noi non sono finite nel dimenticatoio? Quali parti invece sono rimaste e perché? Non saprei rispondere in maniera appropriata e uguale ogni volta che ci rifletto quindi mi concedo la possibilità di cambiare idea a seconda della situazione.

Mi rendo che presto attenzione alle persone che incontro perché credo si può imparare molto anche da e su uno sconosciuto.

Grazie al lavoro di cameriera sono in contatto con molta gente. Vedo tantissimi visi, storie, modi e caratteri diversi. Incontro molte persone ed ognuna di loro lascia le proprie briciole (in senso figurato e non). A volte rimango basita dalla maleducazione che purtroppo si diffonde come un virus inarrestabile. Per esempio un mio amico mi raccontava che nel ristorante in cui lavora si fosse visto costretto a mandare via dei clienti perché i genitori non badavano ai propri bambini i quali correvano attorno ai tavoli, urlavano, rompevano decorazioni natalizie del locale, prendevano sedie dagli altri commensali; insomma disturbavano assai. I genitori ridevano e si gustavano la cena divertiti da queste azioni totalmente fuori luogo. Mentre li invitava a contenere i bambini gli adulti hanno risposto che avrebbero lasciato una brutta recensione sul ristorante in questione perché lì non si accettano famiglie con figli.
Un giorno invece si erano presentati in otto anziché in cinque dopo aver prenotato un quarto d’ora prima. Una volta che il mio amico ha espresso la difficoltà di sistemare le tre persone in più in quanto tutto il locale era al completo ed i posti fossero già stati distribuiti secondo le prenotazioni gli è stato replicato: “Eh vabbè, che problema c’è?

Altre volte, invece, rimango piacevolmente sorpresa, come oggi. Una signora, dopo aver bevuto il caffè, ha pulito con un tovagliolo la macchia di rossetto che era rimasto impresso sul bordo della tazzina perché non voleva lasciare tracce. Eppure questa gentile signora una traccia, nella mia memoria, l’ha lasciata eccome.

Si può restare sorpresi anche dalla buona educazione. In più, per fortuna ci sono quelle rarissime creature mitologiche che sanno ancora chiedere “per favore” e dire “grazie”. Si ricordano di quelle nozioni elementari che non sono affatto banali. In un’epoca così digitalmente evoluta urge mantenere e consolidare le basi delle buone maniere.

Lo scorso mese sono stata a Venezia con il mio fidanzato Fabio ed un nostro amico, Davide. Siamo andati a vedere il cimitero di San Michele. Mi sono fermata su una panchina per riposarmi, guardare il cielo e gli alberi che dondolavano. Fabio e Davide avevano deciso di continuare a camminare; ci saremmo ritrovati poi. Sulla stessa panchina c’era anche una signora anziana davvero graziosa. Iniziamo a conversare spontaneamente con una naturalezza che mi fa ancora tenerezza. Parliamo del tempo, della pace in quel posto, del turismo a Venezia, dei prezzi a Venezia, dell’acqua alta, del suo negozio, dell’Alzheimer delle sue amiche, della sua vita e quella dei suoi figli (nipoti annessi). Mi racconta che ama l’opera lirica e che una volta suo figlio che abita a Padova era andato a Venezia per prenderla e portarla a Verona a vedere l’Aida e poi l’ha riportata a casa per poi tornare a Padova e correre al lavoro. Mi ha descritto i caratteri dei suoi figli e mi ha confessato che i due fratelli non si vedono spesso se non a casa sua per le feste. Nel frattempo Fabio e Davide mi raggiungono e nel momento delle presentazioni io e la signora ci accorgiamo che non sappiamo il nome dell’altra. Scopriamo che si chiama Maria, è su Facebook e che prende spesso il vaporetto. Parliamo ancora per qualche altro minuto e ci salutiamo con un sorriso. Era una sconosciuta ma si è raccontata ed ora la ricordiamo con simpatia.

Per me l’atto di mangiare diventa il nostro comportamento e gli atteggiamenti le nostre molliche. Cerchiamo di non essere chiusi con noi stessi. Proviamo a pensare a cosa davvero rimane dietro e dentro di noi, dietro ad ogni nostra esperienza lavorativa, successo o errore. Cerchiamo di riflettere su ciò che ha funzionato e sul perché, al contrario, non ci ha convinti un nostro determinato atteggiamento.

Talvolta viviamo talmente freneticamente che non ci si osserva più, non ci si ascolta più e non ci vediamo riflessi per come potrebbero notarci gli altri. Allora fermiamoci e guardiamo indietro ma non per biasimarci per i nostri sbagli o lodarci a iosa per le nostre riuscite. Semplicemente per le molliche che ci hanno fatto diventare ciò che siamo oggi e con la possibilità di miglioramento per riconoscerci, perdonarci ed essere, almeno con noi stessi e con gli altri buoni come il pane.

Andreea Ioana Nicolae

Mi chiamo Andreea e studio Lingue e Letterature straniere. Adoro i bambini, la musica, i film e le sorprese. Mi piace scrivere e leggere. Nutro un affetto particolare per i classici perchè mi insegnano qualcosa di nuovo ogni volta che li rileggo. Il mio libro preferito è "Il fu Mattia Pascal" di Pirandello. La mia citazione preferita è: "Per aspera ad astra".